E’ successo anche a voi, vero, di interrogare Google per leggere dagli esperti come trovare lo stile giusto?
Io in passato l’ho fatto varie volte con un unico risultato: una montagna di siti da leggere e zero indicazioni che mi portassero la rivelazione che cercavo.
La realtà, senza mettere in dubbio la buona fede di chi ne ha già scritto, è che non potrà mai esistere nessuna lista magica, perché lo stile non è fatto di regole.
Nessuna consulente d’immagine, blogger o esperta potrà stilare la top10 di consigli che possa andare bene per tutte.
Riuscite ad immaginare 5 miliardi di donne dentro una lista di 3, 5, 7 punti?
Mi verrebbe da dire che ho trovato il mio vero stile dopo aver terminato la formazione come consulente d’immagine, ma la verità è che quella parte teorica mi ha dato solo la base per sentirmi più sicura in quello che già da tempo avevo in mente.
Lo stile non è una cosa da manuale.
E’ un percorso che si fa nel tempo, per conoscersi meglio e allenare l’occhio davanti allo specchio.
Tuttavia, negli anni, ho notato un filo rosso che accomunava le storie delle donne che ho conosciuto – e anche la mia – e che, secondo me, non permetteva di trovare lo stile giusto: il timore di avere un desiderio ridicolo, esagerato, o troppo sopra le righe.
Una volta di più, abbiamo paura di sbagliare, di farci ridere dietro, di causare, in qualche modo, un danno a noi se stesse e agli altri.
Scritto così, sembra un pensiero totalmente irrazionale, fuori controllo. E in effetti lo è, ma quando se ne sta defilato nella nostra mente, buono buono, per anni, nel retrobottega delle nostre elucubrazioni quotidiane, riesce a resistere per lungo tempo senza che lo staniamo e lo mettiamo in discussione.
Il timore di sbagliare può prendere diverse forme, e può partire dalle cose più piccole fino alle scelte che ci stravolgono del tutto.
L’ho percepito in B. che, dopo un periodo molto difficile, voleva finalmente respirare un po’ di leggerezza nella vita e nel modo di vestire. Aveva voglia di indossare salopette e camicette a fiori e di andarsene in giro con i jeans arrotolati. Con una figlia adolescente, un giorno mi ha chiesto: ‘Ma non è che dopo sembro una di quelle madri un po’ patetiche che vanno via vestite in abbinamento con le figlie?’
E l’ho vissuto io, che prima di avere il coraggio di indossare quello che sognavo da anni, ho dovuto aspettare una festa di carnevale.
Avete capito bene. Ho dovuto aspettare un contesto dove, anche se fossi stata ridicola, tutto sommato la situazione lo permetteva e nessuno avrebbe potuto dirmi nulla.
Da allora ho capito quanto la nostra mente possa macinare, a getto continuo, dubbi e timori (e quanto fosse alto il mio senso del ridicolo).
La festa era a tema anni Cinquanta, dove, presumevo, tutti gli uomini si sarebbero vestiti da gangster e le donne da pupe in stile charleston. Ho colto la palla al balzo per sperimentare quello stile maschile che da tempo mi attirava molto.
Ho messo insieme pantalone gessato, camicia bianca, gilet nero, basco.
Visto con gli occhi di oggi, non c’era nulla di eccezionale né strampalato, ma qualche anno fa mi sentivo come una delinquente improvvisata, che stava osando superare una linea di confine proibita.
Da allora ho superato il timore di entrare in un negozio per chiedere un paio di bretelle, e ho imparato a reggere lo sguardo di compatimento di qualche commessa che mi faceva notare che ‘loro quelle cose non le tengono’.
Alla fine, per comodità, ordino online oppure approfitto di qualche cimelio di famiglia appartenuto a nonni militari o nonne estrose.
Le mie bretelle adesso le indosso orgogliosamente e fanno semplicemente parte di me – come la cravatta o il papillon che mi piace indossare nelle occasioni speciali – e le adorate giacche e camicie che, dopo i caldi dell’estate, non vedo l’ora di tornare a portare.
Ho venduto, regalato, scambiato tutto quello che giaceva da anni nel guardaroba.
Mi sono sbarazzata di gonne e vestiti, rouches e pois.
Ho imparato a non ascoltare nessuno, compresi i commenti di chi mi invitava a ‘tirare fuori le gambe, finché ce le hai belle’.
Ma passiamo ai fatti, o meglio, alle immagini.
Vi ho preparato una gallery della storia della mia liberazione.
Ora che sapete tutto di me, tocca a voi.
Raccontatemi la vostra storia di liberazione e, se ancora non ne avete una, nessun problema. Non vedo l’ora di ascoltare i vostri ‘dirty secrets’.
Fatevi avanti!