A 42 anni ho riscoperto la danza.
Per diversi anni mi ero convinta di essere troppo vecchia per tornare alla danza contemporanea e mi ero costretta a seguire discipline giuste sulla carta come lo yoga o il pilates, ma che nulla dicevano al mio cuore.
Mi sentivo annoiata, scostante, frustrata perché non riuscivo a metterci l’impegno che ci avrei dovuto mettere e non vedevo i risultati che mi aspettavo e che, in realtà, sapevo di non poter pretendere.
Era un cerchio chiuso dove continuavo a girare a vuoto, tra il richiamo del senso del dovere e la voce incessante del mio corpo che mi chiedeva movimento, danza, musica.
Come spesso succede, se non sei tu a smuoverti, è qualcuno da fuori che lo fa.
Un giorno ho risposto al richiamo del corpo. E alla telefonata di un’amica che insisteva ‘dai, vieni a provare’.
Ho provato e, da due anni, non mi sono più fermata. A volte dico alla mia insegnante che deve tenersi pronta, perché voglio che mi porti fino alla pensione.
Questa non è una storia di successo – almeno non nel senso tradizionale del termine -, né di rivincita sulle occasioni perse, su quegli anni smarriti in cui avrei potuto godermi un corpo che faceva meno fatica e rispondeva più velocemente.
E’ la storia di un’arte che ho imparato solo da poco: ascoltarmi.
Non sono brava tutti i giorni, mi perdo molto spesso e faccio ancora fatica, ma almeno adesso so che tutto parte da lì. Sempre.
Quando ascolto le storie di altre donne, il cambiamento sembra partire da un fattore esterno, come se avessimo bisogno di toccare azioni e decisioni, per dar loro sostanza e concretezza.
Poi, che si tratti di un cambio di taglia, di partner o di lavoro, si arriva sempre al punto cruciale: era l’infelicità, l’insoddisfazione, era la voglia di prendersi qualcosa di meglio dalla vita.
E’ il sentirsi in diritto di meritare di più.
Non si tocca, non si definisce come le nostre azioni, ma è materia calda, incandescente che magari per un po’ abbiamo cercato di tenere tra le mani, ma poi era diventata insostenibile, quasi esplosiva, e, con tutto il nostro coraggio, abbiamo deciso di darle la forma dei nostri desideri e del futuro che volevamo per noi.
La danza mi sta insegnando molto, più di quanto fossi capace di imparare a 20 anni.
Mi insegna ad ascoltare il corpo, a chiudere gli occhi e a fidarmi, perché per lei l’errore non esiste.
Nel movimento non ci sono parole come limite, brutto, ridicolo, stretto, impossibile, mio.
Quello è solo un giudizio della mente, che molte volte ci inganna e ci fa apparire impossibile ciò che invece ci può portare grande gioia.
E’ voce silenziosa, ma incessante. La stessa che ha continuato a bussare in tutto quel tempo in cui ho tentato di ignorarla, perché ‘sono troppo vecchia’ e occupata ad ascoltare i giudizi su me stessa.
La danza è uno dei miei modi di vivere la bellezza, di apprezzare il valore della gioia, il piacere di un corpo che si muove, si allunga e si riprende dal sonno di quegli anni persi a rincorrere chissà quale risultato.
E’ una lezione continua sull’unica cosa che credo conti davvero: l’infinito è la dimensione normale delle nostre vite.
Il corpo non conosce la parola limite.
Quel braccio che si allunga e prosegue con il movimento della mano, e poi con quello delle dita che potrebbe espandersi ancora e ancora, fino a trovare una nuova dimensione nello spazio dove ci sono gli altri, con cui condividiamo l’energia e il potere di diventare in ogni momento una materia, una forma, una vibrazione diversa.
Non siamo fatte per vivere vite striminzite. Siamo fatte di creatività e per vivere nella creatività, qualunque forma questa possa prendere.
La paura si mette spesso di traverso, facendoci credere a scenari che poi mai si realizzeranno o che non saranno così ridicoli o tragici come ce li immaginiamo.
Per me che, da bambina, dicevo una parola ogni 15 giorni e mi nascondevo dietro la gonna di mia madre, la salvezza è stata la curiosità.
Sto imparando a non combattere la paura, perché sarebbe una battaglia persa dall’inizio e una lotta estenuante contro me stessa. Preferisco spendere le forze ad ascoltare quella voce, silenziosa ma incessante, che, poco per volta, un millimetro al giorno, mi indica la strada verso la vita più XXL che io possa avere.
Se siamo oneste con noi stesse, sappiamo che diventare migliori non è una faccenda solo nostra. Quanto bene può fare la nostra felicità a chi ci sta attorno?
Non smettiamo mai di provarci.