Un giorno ricevo la telefonata di E.
Mi racconta, senza tanti giri di parole, di essere stanca del suo stile.
In verità, mi dice di non aver mai avuto uno stile, perché fino a quel momento il lavoro, la sua scuola di danza, la figlia, il compagno erano stati la priorità.
Però aveva deciso, era arrivato il suo momento e non vedeva l’ora di dedicarsi un tempo tutto per sé.
Ci incontriamo, mi racconta del lavoro e di come trascorre le giornate, passando dalla comodità della tuta da ginnastica, la sua uniforme, ai colori sgargianti dei costumi da palcoscenico.
E’ insegnante, ballerina, coreografa e giudice di gara. Una mamma che va alle riunioni dei professori e una donna che ama regalarsi delle serate a teatro, perché l’arte e la creatività danno nutrimento alla sua anima.
Vorrebbe fare degli acquisti giusti, ma non sa bene come orientarsi.
Quando vado a casa sua, noto armadi pieni zeppi di capi e accessori, anche importanti. Molti le sono stati regalati dalla madre, una donna elegante che forse tentava di infondere alla figlia l’idea di uno stile.
Mi faccio mostrare quello che ama di più, vestiti e colori che indossa volentieri. Mentre scorre la mano tra le grucce, noto i suoi occhi illuminarsi e diventare severi subito dopo.
“Forse questo è esagerato”.
“Questo mi piace, però quando lo metto?”.
“Questo è bello, me l’hanno regalato, ma come lo abbino con il resto?”.
Comincio a sfilare vestiti, pantaloni, maglie, foulard, li appoggio sul letto e li abbino. Proprio come in una danza, si compongono tra loro, trovano magicamente la combinazione giusta.
Compare il filo rosso che li unisce e, alla fine, individuiamo quelle pochissime cose di cui ha veramente bisogno, che sappiamo potrà sfruttare in molte occasioni.
Le mostro in un mood board come può inserire l’elemento di stile che ama di più, le frange, presenti nei costumi della “sua” danza, che ora si alleggeriscono di quell’elemento di teatralità che temeva e prendono un’allure quasi quotidiana, del tutto portabile.
Poco tempo dopo E. mi racconta felice del suo cambiamento, degli sguardi diversi delle persone che l’avevano conosciuta solo in tuta da ginnastica. E dei commenti entusiastici del compagno che, in prima battuta, non capiva “perché si debbano spendere soldi in quelle cose frivole”.
La storia di E. mi ha fatto ricordare di tutte quelle volte in cui il mio desiderio era ancora piccolo e fragile, ma chiedeva ugualmente ascolto, anche se la sua voce non era prepotente quanto il brusio che c’era fuori..
Continuando ad inciampare, ho imparato a distinguere le parole della paura e quelle dell’anima, quelle che mi avrebbero tenuta sullo stesso cammino e quelle che mi avrebbero portato verso ciò che era meglio per me.
A volte bisogna abbassarsi un po’, come facciamo con i bambini, per tendere l’orecchio e far capire che ci siamo.
E’ un gesto d’amore che è bello regalare agli altri, ma che dobbiamo innanzitutto a noi stesse.
P.S. Finché ci occupavamo di faccende serie, quei burloni degli americani si sfidavano sul red carpet del Met Gala con i vestiti più sorprendenti. Qui vi segnalo la classifica dei Best Dressed secondo Harper’s Bazaar UK. Il vestito di Givenchy è di una bellezza commovente.